Startup e web, i dati deludono. Solo la metà dei siti è funzionante. Siti responsive, ma lenti al caricamento. SEO completamente da rivedere. Insomma, manca la cultura del digitale.
Sembrerebbe una battuta comica, da palcoscenico. Magari un vero e proprio controsenso nell’era del digitale e dello shopping online massificato e diffusivo (a volte anche compulsivo). Eppure il Report Startup 2017 di Instilla (consulta il report) evidenzia un dato molto significativo: sul totale delle 7568 imprese iscritte nel registro a luglio 2017, solo 3760 (il 49,7%) hanno un sito funzionante a settembre 2017. In pratica, più di un quarto delle imprese non ha dichiarato di avere un sito, mentre più del 20% di chi dichiara di avere un sito ha un sito non funzionante.
Inoltre, se da un lato è positivo che quasi il 90% dei siti web funzionanti sia anche ottimizzato per la visualizzazione da smartphone, occorre evidenziare che i siti con una sufficiente velocità di caricamento pagine da smartphone siano poco più del 30%. Ecco un altro dato allarmente, che palesa la poca cura che le nostre aziende – soprattutto quelle che vendono online – prestano alla “cultura dell’estetica”: certo bisogna vendere, ma è anche opportuno (se non necessario) sapere arredare per bene e per tempo la casa prima di venderla.
Alla poca cura dell’estetica (grafica), si aggiunge anche una certa ignoranza (o l’«accontentiamoci, pensiamo solo a vendere») nel campo del codice e della SEO. Se consideriamo le imprese iscritte al registro che hanno un sito performante per chi accede da smartphone, si scopre che sono meno di 100 quelle con un sito che rispetta i parametri base per una buona SEO. Evidentamente non sono bastati i numerosi corsi online (anche a pagamento) e i molteplici libri letti in cui si afferma che headings, meta description e sitemap sono solo alcuni dei parametri per valutare il livello di ottimizzazione per motori di ricerca di un sito. Può dipendere dai diversi interessi delle amministrazioni aziendali o di chi fa SEO Marketing? Può essere, perché vale il motto del “se non vendo, non porto il pane a casa” (e, in questo, la SEO purtroppo ha un ruolo marginale).
Va detto che a peccare nella SEO non ci sono solo le startup innovative. Oggi in Italia solo 14 imprese attive su 100 hanno registrato un dominio «.it». Ogni 10mila abitanti, si contano 23 professionisti con un dominio «.it». In media, il tasso di penetrazione tra la popolazione maggiorenne e residente è di 285 domini «.it» ogni 10mila abitanti. In Germania – punto di riferimento europeo per le politiche industriali e la digitalizzazione del tessuto produttivo – a fine 2015, il tasso di penetrazione dei domini «.de» era pari a 1.830 domini ogni 10mila abitanti. Più di sei volte il valore misurato in Italia.
Non sono dati eccellenti, se la concorrenza è globale e molto digitale. Un sito ottimizzato è questione di sapere come farsi trovare: ma per ottimizzarlo si richiedono risorse non solo economiche e professionali, ma anche di tempo. Vale per un giornale online ma anche per un servizio innovativo di e-commerce. Se resti analogico non vuol dire che non farai mai soldi nella vita. Un laboratorio di life science molto specializzato non ha bisogno di un sito web, gli bastano le pubblicazioni scientifiche e la conoscenza accademica. Se però possiedi un prodotto o un servizio e intendi lanciarlo fuori dall’Italia, il passaparola tra addetti ai lavori potrebbe non bastare. Ciò che preoccupa, quindi, è la mancanza di una cultura digitale appropriata che nelle startup innovative dovrebbe essere invece un po’ più diffusa e presente.